Raccolta da Facebook -2018 2019-

Il fiume mi ha affascinato da sempre, attirandomi a sè fino a caderci dentro.
Da bambino, mentre guardavo incantato le effimere svolazzanti sulla sponda, sono precipitato nella roggia che passava vicino a casa.
Nulla di serio per fortuna, solo un veloce tuffo nell’acqua bassa e una breve camminata grondante verso casa.

Ma il fiume con le sue acque, che scorrono sempre diverse e sempre uguali, mi porta con sè ancora adesso.

… Il fiume Sile a Quinto di Treviso …

Vorrei tornare a riveder le cose come un bambino. Vedendole ora per la prima volta per ciò che sono, con l’innocenza del non pregiudizio. Le cose piccole e le cose grandi, e giocare con loro come allora.
Da piccolo bastavano i sensi, da grande nuovi mondi si svelano e richiedono sensibilità più affinate. Siamo fatti per esplorare, come un tempo i sentieri dei prati, oggi le strade della vita. In alto lo sguardo tra una scoperta e l’altra per cogliere la prospettiva! Non so dove si arriverà, ma l’orizzonte è lontano e le possibilità aperte.

(foto scattata durante “la 200” ed. 2018 a bordo di “Croce del sud” di Silvano Minello)

«Un bambino guarda tutto come se lo vedesse per la prima volta; il genio non è che l’infanzia ritrovata per un atto di volontà». [Charles Baudelaire]

… Fontana nel giardino dell’ospedale san Camillo, Treviso …

Come gocce d’acqua soli danziamo,
scontrandoci ed incontrandoci in un apparente caos

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Ricordi d’infanzia

Era con Leuccio che ho esplorato vagabondando, tutto il quartiere.
Dalle Acquette al Chiodo e altri luoghi ancora…
Abbiamo vissuto insieme avventure che oggi ritrovo solamente nella migliore letteratura.

— Parco della Storga, Treviso —

Credo che nella nostra mente, siano segnate, profonde e basilari, tutte le relazioni (nella loro infinita varietà) tra persone, animali e cose, che da bambini abbiamo incontrato.

Cosi oggi desidero ringraziare Leo per la sua amicizia e la sua continua capacità di sorprendermi.

E’ il villaggio che cresce le Persone.

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Un bagliore scorgo lontano…
Ambiente alieno: procedere con cautela.

Immersione a Veglia – Croazia

Il Dronista

Volare all’interno del tempio di San Nicolò a Treviso con il drone è
un’esperienza che ricorderò per sempre, un accavallarsi di emozioni e di pensieri.

E’ il cuore, il primo a parlare:
Lo spazio enorme ma chiuso,limitato, a mia disposizione.
La paura di perdere la concentrazione e di danneggiare le opere irripetibili che mi circondano.
Certo che sono assicurato! Ma il valore a rischio è inestimabile.

La mente prosegue:
1 – Disattivare la guida assistita da gps.
2 -Disattivare la procedura di rientro automatico.
3 – Fare estrema attenzione al flusso d’aria creato dal drone nell’ambiente.

Aumenta la concentrazione.
I rumori si fanno ovattati.
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(———–o———–)
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La preparazione al volo del drone e il rituale di verifica delle eliche.
La magia del radiocontrollo che si attiva, l’app sullo smarthphone.
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La scelta (ecco qui) del luogo di decollo.
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La procedura di accensione. Il controllo pre volo. Il decollo!

xxx zzzzzzzzzzzzzzzzzz zzzz zzz z zzz zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz….

Alcuni istanti in hovering per sintonizzarci l’un l’altro.
I suoni si focalizzano solo su quello che è indispensabile ascoltare:
il ronzio regolare e le variazioni nel rumore delle eliche: un feedback acustico in risposta ai movimenti delle dita sugli stick del radiocomando.

Sembra di suonare uno strumento musicale.

Una metà di me controlla la quota (z) e la rotazione (r), l’altra metà il movimento sugli assi (x) e y.
Il dito medio sinistro si occupa del tilt della camera.
Lo sguardo concentrato sul drone in volo, la visione periferica pronta a segnalare il minimo allarme.

In questi rari attimi, il drone diventa un’estensione dei miei sensi.

Le orecchie tese al ronzio delle eliche.
Gli occhi concentrati.
Lo spazio si dilata.
Il cuore si stabilizza.
(Rec) si vola!

— Parco della Storga, Treviso —

“Tu non puoi essere altro che te stesso.
Allora rilassati. L’esistenza ha bisogno di te così come sei.”
Osho

Quando sei solo, nessuno ti può infastidire… tranne te stesso.

dav

Perché ho scelto te tra mille altre?
Mi guardavi diversamente dalle tue sorelle.

«Lascia perdere la fede!» ripeteva sempre Ciang. «Non t’è mica servita la fede, per volare. T’è bastato l’intelletto: capire la faccenda. (R.Bach, 2006, 57)

“Non dar retta ai tuoi occhi e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola.” R.Bach da “Il gabbiano Jonathan Livingston”

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Nella periferia di Treviso (SMR) – tra il 1970 e il 1975

Tra le palazzine dove vivevo da piccolo e dove abito tuttora, corre una rete, interrotta a metà da uno stretto passaggio pedonale. In queste case, allora di proprietà del demanio militare, alloggiava il personale dell’esercito, che negli anni della guerra fredda, garantiva il presidio dei confini tra l’Europa e i paesi del blocco sovietico. Erano famiglie provenienti da tutto il Paese ma prevalentemente dal meridione e dalle isole, una particolare rappresentanza di italiani di cui magari vi parlerò più avanti.
La rete divideva le famiglie dei sottufficiali dell’esercito, da quelle dell’aeronautica e degli ufficiali. Non ho mai capito la necessità di una tale separazione anche perché, in quegli anni, nella parte più a nord, vicino al muro del campo sportivo, la rete era stata completamente schiacciata a terra, tanto che noi ragazzini usavamo quel varco per scorrazzare liberamente da una zona all’altra. Era naturale per noi usare quel passaggio, era anche la via più breve per giungere ad un luogo meraviglioso.
C’era un bar gelateria vicino alla chiesa, che per noi ragazzini rappresentava il massimo del piacere. Quando ci ritrovavamo qualche soldino in tasca, dalla paghetta di casa o per qualche lavoretto fatto in giro, ci fiondavamo da Romeo per comprarci un ghiacciolo, qualche caramella o un delizioso cono con panna.
La rete calpestata non era comunque una bella vista e così qualcuno decise di mettere a posto le cose. La vecchia recinzione fu sostituita da una nuova. L’ammasso rugginoso e contorto sparì e al suo posto fu eretta una nuova rete, uguale alla precedente ma nuova e splendente. Il passaggio pedonale in mezzo c’era ancora, ma a noi ragazzini non andava di dover fare il giro più lungo per andare da Romeo.
In capo ad una settimana però accadde un fatto strano: nella parte a nord, dove fino a pochi giorni prima c’era il varco schiacciato, la nuova rete cominciò a piegarsi.
Prima una lieve curvatura del bordo superiore e poi, man mano che passavano i giorni, la rete scese fino a terra. Ovviamente non credo si trattasse di un fenomeno paranormale.
In ogni caso, dopo meno di un mese, il passaggio era riaperto e la strada breve verso la gelateria ripristinata. La situazione rimase così per molto tempo, fino alla ristrutturazione attuale dell’area.

Ora è tutto più ordinato, con stradine asfaltate e giardini condominiali. La rete c’è ancora e passiamo tutti dai varchi predisposti, credo sia una buona cosa.
Mi spiace solamente che non ci sia più Romeo, la nostra gelateria delle meraviglie.

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Nella periferia di Treviso (SMR) – tra il 1968 e il 1972

Noi da bambini, conoscevamo la magia.

Oltre il varco che interrompe la recinzione delle palazzine dove abito ancora oggi, molti anni fa si apriva un portale verso un mondo straordinario.
La periferia della città si stava espandendo ma c’era uno spazio, circondato da alti edifici, che era sopravissuto incolto.
D’inverno era poco più di un prato, un terreno ondulato che chiamavamo “le montagnole”, percorso da quei sentieri che si formano spontaneamente per il passaggio delle persone.
In primavera diventava una “terra di mezzo” dove sorprendere le lucertole addormentate al sole, stanare da sotto i sassi gli orbettini luccicanti e talvolta incontrare bambini nuovi, usciti dalle case vicine.
Ma quando con l’estate le erbe selvatiche crescevano alte, i sentieri fiorivano in fantastiche gallerie che la nostra banda percorreva circospetta, fino ad una radura nascosta, conosciuta a pochi.
Arrivati in quel luogo, nel folto della boscaglia, lontano dagli sguardi degli adulti, il mondo si trasformava.
Grazie ad una certa magia che solamente i più piccoli conoscono, la banda diventava tribù.
I bimbi si tramutavano in impavidi guerrieri, i cani in gioiosi compagni di caccia.
Si immaginavano storie, ridendo senza un pretesto, in un continuo misurarsi e mettersi alla prova, sfidando i nostri limiti anche a costo di qualche livido.
La sera, i richiami della cena, strillati dalle finestre lontane, ci riportavano sempre troppo in fretta alla realtà.
La magia così svaniva e con il cuore ancora in tumulto per i giochi interrotti, si tornava a casa.

Vi confido che ancora oggi, quando mi capita di passare davanti al “residence” costruito sopra le montagnole, un pizzico di quella magia lo sento ancora.

Nella periferia di Treviso (SMR) – tra il 1968 e il 1978

Ho avuto la fortuna da bambino, di giocare con i cani.

Non parlo di quelli legati alla catena o liberi nel giardino.
E nemmeno di quelli più piccoli che molti oggi tengono in casa.
Io ho giocato con i miei fratelli ed i miei amici in uno spazio selvaggio tra l’infanzia e l’adolescenza.
Era selvaggio al punto che d’estate, durante le vacanze estive, la casa era solo la tana dove andare a dormire, il luogo dove trovare accoglienza sicura. Si usciva al mattino a giocare in cortile con gli altri bambini in un mondo che vorrei tanto ricordare meglio.
Tra noi girava spesso qualche cane randagio in cerca di qualcosa.
Con i cani giocavamo e ci comprendevamo a perfezione.
I gatti erano più difficili da avvicinare ma portavano altre emozioni.
Col tempo, le nostre scorribande si sono fatte sempre più lontane.

Alcuni di voi sono proprio qui ora, altri sono presenti nel ricordo.

“Arcobaleno!” Gridò l’acqua tuffandosi. 
— Buranelli stellati, Treviso —

Quando è abbastanza buio, puoi vedere le stelle.
When it is dark enough, you can see the stars.
[Ralph Waldo Emerson]

E’ nella “giusta distanza reciproca” che troviamo un po’ di pace.

Il pedone è il pezzo più importante sulla scacchiera… per un pedone.
[Isaac Asimov]

Al neurone basta poco…

Cosa pensate che ne sappia il neurone del cervello, lui si limita semplicemente ad inviare i suoi segnali quando viene sollecitato dalle giuste sinapsi.
Alle volte sono cortesi impulsi sporadici ai quali se gli va risponde o altrimenti ignora.
Quando arrivano invece combinazioni di complessità maggiore, la sua risposta è attentamente ponderata.
Succede spesso poi qualcosa di speciale, quando l’area cerebrale tutto intorno si mette ticchettando a risuonare, il neurone scarica sintonizzato con il ritmo, in un fantastico concerto di impulsi armonizzati.
Che poi questa sinfonia sia funzionale a qualche ineffabile attività superiore al neurone poco importa, nessun problema esistenziale, lui fa quello per cui è nato: scarica il suo segnale come sa fare. E questo gli basta.

The neuron is happy with little

What do you think the neuron knows about the brain, he simply sends out his signals, when he is activated by the right synapses.
At times, they are sporadic kind impulses to which, if he likes, he respond or otherwise ignore.
When combinations of greater complexity come instead, his answer is carefully considered.
Then something special often happens, when the brain area all around is ticking to resonate, the neuron discharges tuned with the rhythm, in a fantastic concert of harmonized pulses.
That this symphony is functional to some ineffable superior activity to the neuron does not matter, no existential problem, he does what he was born for: he sends out his signal as he knows how to do. And for him that’s enough.

È tutta una sola luce…

Una sera di parecchi anni fa, andai in auto a Malpensa per ricevere ed accompagnare a Treviso una dirigente della televisione di stato cecoslovacca che avrebbe partecipato ad un evento che stavamo organizzando. Durante il viaggio di ritorno naturalmente percorremmo l’ A-4 sfiorando le città di Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza, Padova e Mestre con le loro aree industriali e commerciali che sfilavano ai lati dell’autostrada. All’arrivo a Treviso ci manifestò tutta la sua meraviglia: “Abbiamo viaggiato per ore, è tutta una sola luce da Milano a qui!”
L’idea di fotografare questo pensiero mi ha portato nei giorni scorsi al rifugio Vittorio Veneto sul monte Pizzoc. Il progetto ardito era di riuscire a vedere la bellezza della via lattea riflettere la luce della nostra pianura. Fortunatamente il cielo non è nuvoloso ma purtroppo l’umidità dell’atmosfera impedisce la vista della galassia. Non so se mai sarà possibile ottenere la foto che immagino, ma farò altri tentativi in futuro. Per il momento il risultato migliore è questo.